La valorizzazione della qualità nel Recupero Crediti
Stupisce che ancora oggi ci si scandalizzi dinnanzi alla definizione di debitore e ci si interroghi su come più correttamente definire colui che non adempie ad un’obbligazione.
Ma se la parola “debitore” definisce una condizione finanziaria, occorre sottolineare come il debitore inadempiente sia anzitutto una persona. Persona che può voler rientrare dai propri inadempimenti pur non avendone i mezzi o che può non aver interesse a rientrarvi (nella logica, errata, del “tanto non succede nulla”). Così come potrebbe essere una persona davvero “professionale” o una persona con “poco mestiere”, colui che si occupa di recupero crediti.
Osservare come alcuni blog suggeriscano di non considerare in nessun modo i "cani da riporto” (come vengono apostrofati i recuperatori) è gravissimo e non perché i recuperatori si sentano offesi (o meglio, non solo) ma soprattutto perché non si fa cultura sul debito e non si fornisce alcun supporto a coloro che hanno un problema che, molto più spesso di quanto si pensi, intendono provare a risolvere.
Manca tuttavia ancora una categoria. Non vi sono difatti solo parti sociali, recuperatori e debitori inadempienti. Vi sono anche, e soprattutto, i creditori. Creditori che sono i soggetti “attivi” nel ciclo delle obbligazioni e che hanno un ruolo determinante nel far sì che solo i professionisti si occupino del recupero. Tuttavia non sempre, nello spirito forse di un’ipotetica maggior tensione produttiva, ci si ricorda del beneficio indotto dall’applicazione di quanto gli americani in modo molto semplice esprimono con la frase “work smarter not harder”.
Capita infatti, a fronte di richieste di “sospensione” di attività di recupero legate a situazioni di oggettiva criticità (non solo economica ma talvolta di equilibrio psico-fisico delle persone) che le società di recupero crediti si sentano rispondere che “la pratica non viene revocata”, in questo modo l’impresa di recupero crediti deciderà se “subirne la penalizzazione non gestendola” o “subire le conseguenze di un’azione non corretta”, gestendola comunque.
Ma crediamo davvero che lavorare con qualità comporti l’ottenimento di minori risultati? Detta all’italiana “lavora con intelligenza per decidere quando operare con maggiore insistenza e quando capire che fermarsi è invece il maggior passo in avanti possibile per la qualità, per il rispetto dell’etica e per trovare una soluzione all’insolvenza molto più efficace della reiterazione della stessa, inconcludente, azione”.
Non c’è più spazio per il mestierante, c’è bisogno di qualità e di obiettività nel giudizio dell’operato nel recupero crediti. Quando la qualità, e non solo la quantità, verrà misurata oggettivamente e diverrà un elemento di giudizio discriminante, ci accorgeremo che i risultati saranno addirittura maggiori. Per farlo occorre cambiare approccio. Per riuscirci dovremo davvero volere, tutti insieme, passare dalla teoria delle norme, alla pratica del controllo della qualità.
Da consumatore, con il diritto di accesso al credito, aggiungo che mi sento molto più protetta da un sistema del recupero crediti che impedisce un aumento del costo del credito (che indubbiamente grava su tutti e non solo sugli enti finanziatori) in conseguenza del maggior tasso di insolvenza. Questo sarà possibile se continueremo, migliorando, a sostenere chi è in difficoltà ma anche se avremo la libertà di esigere il pagamento delle obbligazioni da chi invece adduce solo pretesti. La sanzione vorremo vederla solo e sempre a fronte di azioni oggettivamente scorrette, e non quale conseguenza del ruolo che si ricopre. Bisogna iniziare a valorizzare chi ogni giorno investe per essere migliore, vale a dire la maggior parte degli operatori del settore.
Considerando che gli obiettivi sono davvero comuni a tutti, perché non iniziare definendo insieme le regole della qualità?